Paolo Iudicone Coach sistemico esperto in costellazioni familiari e organizzative.

Se ti fanno soffrire, tu porgi l’altra guancia

Le esperienza negative ci ricordano che stiamo cercando di essere qualcosa che non ha a che fare con la nostra natura.
Ci siamo messi – tipicamente da bambini – in un ruolo che non serve nè a noi, nè al mondo, ma solo a (credere) di sentirci accettati da quelli che amiamo.

Che ne faccio di tutti questi limoni.

Gli americani dicono: «se la vita ti dà limoni, tu facci una limonata». Beyoncé ci ha chiamato un disco Lemonade, tutto sul tema dell’usare le esperienze della vita in un senso costruttivo. Tutto molto bello, ma, come tutte le affermazioni da Baci Perugina, facile a dirsi, assai più difficile a farsi.
Quante volte si ricade sempre nello stesso schema (ne parlo qui)?
E poi, che vuol dire prendere il meglio dagli eventi negativi? Dove sta esattamente il buono, forse dall’insegnamento?

Evidentemente ti servivano limoni.

Che l’esperienza è sempre inevitabile e necessaria, per un coach sistemico è una ovvietà – come dicono gli spagnoli – grande come la chioma di un pino. Capisco che non è facile da elaborare, ma il tuo mondo esterno e il tuo mondo interno sono l’uno l’ologramma dell’altro. Per esempio, quando ci sentiamo feriti, offesi, obbligati dall’altro, c’è una parte interna di noi che è convinta che l’altro ha ragione.

Con questo però non voglio – uno – far sentire in colpa nessuno e – due – dire che ogni esperienza viene per il bene della persona. Non è così infatti: spesso quello a cui ti servivano i limoni era sì per farci la limonata, ma a qualcuno che – che tu te ne renda conto o meno – amiamo. Vuol dire in pratica obbligarsi a stare nel ruolo che serve a tua madre, a i tuoi antenati, alla tua azienda, alla società, alla Nazione, al Pianeta (e ci fermiamo qua solo per comodità). Ma a maggior ragione…

Tu porgi l’altra guancia! Porgila finchè  non c’è una guancia da schiaffeggiare.

Così potrai vedere dove, quando, con chi ti succede e potrai davvero farci qualcosa. Questo accadrà quando avrai risolto il tuo tema “nell’ombra” e a quel punto le stesse situazioni non ti fanno soffrire più. Il che ci porta a due soluzioni.

Primo: un cambio di prospettiva.

Forse quello a cui davamo peso, in realtà non ne ha così tanto. Infatti vorrei chiederti una cosa: qual’è il problema dei limoni? La domanda un po’ più radicale, ma dove possibile ironica che faccio in sessione è: “dato che alla fine la paura è quella di morire, quale successione tragica di eventi ti porterà alla morte quando avrai (mettici il tuo, chessò: deluso il tuo capo, fatto in modo di farti lasciare dalla fidanzata, fatto infuriare tuo figlio con una punizione meritata, non hai rifatto il letto)?

La domanda è più seria di quel che sembra: se continuiamo a dare per scontato che quello che ci fa infuriare, terrorizzare o deprimere, non ci troveremo mai del buono e per la maggior parte delle volte cercheremo solo una maniera per evitare certi colpi. (Finché non lo capisci e vai da un coach). Certo, certi colpi – per farla facile – ci ricordano un’esperienza traumatica e ci mandano in tilt. Per esperienza posso dirti che se non ti fai venire l’infarto, ti fai arrestare o ammalare gravemente, inizierai a uscirne davvero. A condizione che invece di fare la limonata, butti i limoni e vai in cerca di qualcoosa che fa davvero per te!

Secondo: uscire dal ruolo

La notizia infatti è che continuerai a prendere schiaffi finché non risolvi il tema che è alla base, ovvero la convinzione che sei sbagliato/sbagliata quando non sei in un certo modo. Ma c’è di peggio: quel ruolo non è fatto per te, se no non sarebbe un grande sforzo continuare a impersonarlo e quindi prima o poi ti ritrovi a sbattere il muso sul fallimento. Ti obblighi a essere un compagno fedele, una donna perfetta e altruista, devi essere ricco per sentirti rispettato, devi essere seducente per essere valida? Qual’è il tuo?

Dice una edificante storiella zen, che un giorno il Buddha stesso fu ingiuriato da un suo nemico e proprio davanti ai suoi allievi. Quando i giovani domandarono al Maestro perché non aveva reagito, lui rispose: «E perché mai? Non c’era nessuno ad ascoltarlo!». Quando c’è qualcuno è proprio quella parte della nostra personalità che crede che dovremmo essere diversi (tra cui, il più subdolo degli autosabotaggio, “essere rispettati”).

Cosa dovresti vedere quando ti risvegli con l’ennesimo schiaffo: il fatto che nelle situazioni negative ti ci sei messo/messa tu. Non è che te ne faccio una colpa o potessi fare diversamente: al contrario. Insisto perchè voglio che tu capisca che tutto, ma proprio tutto, lo fai per amore. Forse tecnicamente sarebbe più giusto dire che sei cresciuto/cresciuta in uno schema di comportamento che ti è servito a reagire, probabilmente in tenera età, ad una esperienza che hai vissuto come traumatica, che lo fossero davvero – può essere, ed è il campo degli psicologi – o meno.

Per fortuna, la maggior parte di noi ha messo casa in un pattern comportamentale che è obsoleto ormai da anni. E già all’origine, da bambini, era frutto di una reazione in realtà sproporzionata al fatto, per quanto non all’emozione intensa che ha vissuto. Cioè, se per esempio un bambino non vede il padre per lunghi periodi a causa del lavoro, può iniziare a farsi l’idea che lui invece no, non se ne potrai mai andare e dovrà stare a fianco della madre e poi delle altre donne. (E immagina se il padre era un militare come a sua volta gli uomini prima di lui, e il bambino sviluppa una tale dedizione da diventare anche lui militare, stai iniziando a capire come si trasmettono i patten generazionali).

Sgombriamo subito il campo da una possibile resistenza e IMHO anche giusta obiezione: no,  nessun coach serio ti obbligherà a uscire – almeno non nel breve termine – da un certo ruolo, Il tema per ora è smettere di soffrirne.

Ti lascio a una riflessione.

Mentre ti invito a fare insieme a noi un percorso di coaching e costellazioni sistemiche, dato che stiamo immersi nei nostri pattern senza vederli come un pesce sta nell’acqua, puoi farti almeno queste domande.

Cosa sto continuando a fare che non mi soddisfa o addirittura mi fa soffrire? E quale paura mi porta a continuare? E quanto è vera? E soprattutto, a chi nella mia famiglia (o in un altro sistema) è utile che continuo a stare in quel ruolo che non sento mio?

Se vuoi, ci vediamo in gruppo per provare a sperimentare attraverso le costellazioni nel workshop sul Guerriero di Napoli, il 13 e di Roma il 18 maggio.